venerdì 19 febbraio 2016

Il Protocollo di Francoforte: un nuovo trattato per la zona euro Andrew Duff (traduzione dall'inglese di Valter Conti)



Il Protocollo di Francoforte:
un nuovo trattato per la zona euro
Andrew Duff
(traduzione dall'inglese di Valter Conti)

Illustrazione di copertina: L'incontro tedesco Assemblea Nazionale a Chiesa di San Paolo, Francoforte sul Meno, 1848. Chalk litografia di Eduard Meyer. Ospitato nella mostra permanente del Deutsches Historisches Museum, Berlino.

Sommario

Un esperimento fallace? 3

Gli inizi traballanti dell'euro 5

La crisi dell'euro 6

Il trattato fiscal compact 9

I quattro presidenti 2012 10

I cinque presidenti 2015 12

La questione del governo europeo 14
Verso un trattato della zona euro 17

Scelte democratiche sotto procedure semplificate 22

Chirurgia costituzionale 24

IL PROTOCOLLO DI FRANCOFORTE: UNA SINTESI 27

IL PROTOCOLLO DI FRANCOFORTE 31


























Il protocollo di Francoforte: un nuovo trattato per la zona euro

"L'idea di sostenere Unione economica e monetaria nel tempo senza unione politica è fallacia."

Helmut Kohl, Bundestag, 6 novembre 1991

"Naturalmente, hanno ottenuto 17 paesi che devono accettare ogni passo che compiono. Quindi penso al mio Congresso, allora comincio a pensare a 17 congressi e comincia avenirni un po ' di un mal di testa. "

Barack Obama, il 21 maggio 2012

Questo opuscolo presenta, per la prima volta, un trattato della zona euro. Il suo scopo è quello di accelerare i progressi verso l'unione fiscale. Il trattato mira a rafforzare la governance economica e migliorare la politica economica tra i paesi che condividono una moneta unica. Il nuovo trattato è concepito come un protocollo allegato al trattato di Lisbona.

L'opuscolo guarda prima al momento attuale situazione della UE, le debolezze intrinseche dell'UEM e l'impatto della crisi dell'euro. Si esaminano quindi le misure di gestione delle crisi e le proposte incomplete delle istituzioni per rafforzare la governance economica. Dopo un'analisi delle principali caratteristiche desiderabili di un nuovo trattato della zona euro e la sua complessità costituzionale, l'opuscolo presenta il preambolo e 21 articoli del protocollo di Francoforte, con le spiegazioni.

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Un esperimento fallace?

I risultati dell 'Unione europea non dovrebbero essere sottovalutati. Sono molti e notevoli. L'Unione europea mantiene il suo scopo originario: realizzare la pace tra gli ex nemici, per portare benessere ai suoi cittadini, e per intensificare e diffondere verso l'interno e verso l'esterno i principi e la pratica della democrazia liberale, i diritti fondamentali e lo stato di diritto. Ma l'Unione deve affrontare molte crisi e subisce alcune umiliazioni. E' mal governata. La sua autorità all'estero, anche nella sua immediate vicinanze, è debole. L'allargamento dell'UE è a un punto morto. Al suo interno, l'Unione non è amata da molti dei propri cittadini e, sempre più, anche dalle sue élite. Sono pochi i partiti politici ed i parlamenti nazionali che supportano attivamente la causa di una ulteriore unificazione europea. L'aumento di forze centrifughe a carattere regionale concorrono con la forza centripeta di unificazione europea a minare i vecchi stati nazionali d'Europa. Uno dei suoi stati membri, il Regno Unito, sta pensando di abbandonare tutto, e un altro, la Grecia, può trovarsi inoltre a scivolare rapidamente verso un'uscita disordinata dall'euro. L'Unione rischia la disintegrazione.


Sotto qualsiasi aspetto, il progetto storico di costruzione di un'Europa democratica unita è completato solo a metà . La recente crisi finanziaria, con le sue dannose conseguenze sociali ed economiche, ha evidenziato molto bene l'interdipendenza degli stati membri dell'Unione Europea per cui ciò che accade in un paese si reverbera a tutti i suoi partner. Ma questi eventi turbolenti hanno schiacciato qualsiasi illusione che il progetto europeo sia immutabile e, in qualche modo mal definito, 'destinato al successo'. Una gestione frenetica della crisi è stata affrontata dalla UE: le cose non sono andate male come hanno fatto durante l'ultima grande recessione nel 1930, ma abbiamo attraversato la crisi in modo frammentato e con esiti defaticanti. In termini costituzionali, le tensioni sul trattato di Lisbona (2007) si fanno già sentire. Ognuno attende con apprensione la prossima crisi. Sulla superficie c'è grande attività di vertice della classe dirigente politica della UE: vengono realizzati studi , rapporti scritti, organizzati dibattiti e interminabili incontri di vertice. Si svolgono elezioni e referendum. Inoltre forze euroscettiche salgono al governo di diversi Stati membri. Ma in ultima analisi avvengono di fatto troppi pochi cambiamenti.

In cima a problemi finanziari ed economici dell'Unione vi sono altre due sfide enormi. In primo luogo, Vladimir Putin ha rotto il consenso del post Guerra Fredda. La sua Russia recidiva sta ridisegnando la mappa dell'Europa orientale e contesta il dominio americano in Medio Oriente. In secondo luogo, il collasso della Siria in una guerra civile e settaria ha ingrossato le fila dei migranti in cerca di una vita migliore e più sicura in Europa con proporzioni senza precedenti dalla Seconda Guerra Mondiale. Né l'Unione europea né i suoi Stati membri sono in grado di affrontare efficacemente questa duplice intimidazione. Come per la crisi economica, la mancanza di un governo legittimo frena alle questioni a livello UE. La capacità militare è stata ridotta a livelli bassi senza precedenti, anche per chi è membro della NATO. Uno dei grandi successi della UE fino ad oggi, l'accordo di Schengen sulla libera circolazione all'interno delle frontiere interne dell'Unione, è effettivamente irrigidito. L'ondata di profughi riduce a brandelli le politiche comuni precedenti dell'UE in materia di visti, asilo e immigrazione. Anche i concetti di solidarietà e condivisione degli oneri vengono derisi.

Mentre si riconosce ampiamente la fragilità del sistema di governo della UE, vengono sottratti spazi per soluzioni ardite e razionali. Il risultato è lo stallo costituzionale. L'Unione europea si è bloccata nella sua fase confederale, dove ognuno dei suoi ventotto membri deve essere d'accordo quasi su tutto prima che qualcosa possa accadere. L'integrazione europea ha ridotto capacità ed efficacia di azione dei governi nazionali in molte circostanze, ma non ha ancora messo in atto un governo alternativo di tipo federale a livello sovranazionale. Le istituzioni dell'UE sono nella odiosa posizione di essere abbastanza significative per prendersi le colpe, ma non per accreditarsi i meriti.
È un luogo comune che tutto ciò che l'Unione deve fare possa essere fatto sotto i propri trattati in vigore. Tuttavia, pochi si fermano a spiegare il motivo per cui pur se è vero che davvero tutto può essere realizzato in base ai trattati esistenti, tutto ciò non è quello che nei fatti si sta praticando. Anche le opportunità di flessibilità di governo offerte dal trattato di Lisbona, come ad esempio le clausole passerella, non vengono utilizzate.(1) Troppa parte della classe dirigente della UE segue una comoda routine nella convinzione che non vi sia crisi europea la cui dimensione di sfida politica non preveda una soluzione tecnocratica e che, quindi, un po 'di più provvisorietà e di proroghe faranno la soluzione.
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1 L'articolo 48 (7) del TUE, per esempio, consente al Consiglio europeo di derogare alcune decisioni prese all'unanimità al voto a maggioranza.

martedì 7 dicembre 2010

Studio Sulle Reti Culturali

Reti Cultrali in Italia ed Europa
Motivazioni, strutture, analisi e case history; struttura riassuntiva
di Fabrizio Gavosto

  1. Perchè fare “Rete”
  2. Cosa è una rete e come funziona
  • tipologie di reti
  • reti di obbiettivo
  • reti di contenuto
  • reti di funzionamento
  • reti di percorso

  • modalità di funzionamento
  • reti nazionali
  • reti indotte
  • reti spontanee
  • reti transnazionali
  • Euro reti 

    3. Il “Manifesto”, strumento fondamentale di creazione di una rete culturale
    4. La “Rete” come finestra sul mondo istituzionale
  • Istituzioni
  • progetti europei

Case history:
  • Cofae, la rete spagnola dei festival: coordinamento a livello nazionale
  • EFA, European Festivals Association: visibilità e rapporto con le istituzioni
  • IETM, international network for contemporary performing arts: la grande rete orizzontale che abbraccia il mondo intero
  • ZEPA, Zone Europeenne de Projects Artistiques: una rete ed un progetto interreg

Conclusioni

1.Perchè fare “Rete”

In tempi di crisi, ma anche in tempi “normali”, operare nel settore culturale significa affidarsi ai voleri e alle decisioni di politici ed amministratori, elementi soggetti a cambiamento per elezioni, simpatie, tendenze politiche.
Operare singolarmente in questa situazione non è certamente semplice. Inoltre, nel caso di festival e eventi sopratutto nell'ambito del teatro, del circo e del teatro di strada, le dimensioni e l'influenza degli operatori, pur se vasta, non puo certo definirsi di importanza nazionale, se presi singolarmente.
Ultimo, non è possibile, con budget relativamente poco significativi, disporre e gestire in un solo evento una filiera completa di produzione culturale.
Per tutti questi motivi, fare rete significa aumentare le proprie capacità operative, condividendo risorse, professionalità e circuiti, ed allo stesso tempo guadagnare in visibilità, peso politico e capacità di condividere parti della filiera di creazione in ambito culturale.

  1. Cosa è una rete e come funziona

Una rete culturale è un insieme di strutture che seguono insieme un percorso comune, che può essere di vari generi e tipologie. Una rete culturale si forma sovente in modo spontaneo in ambito territoriale o all'interno di un settore, sopratutto in momenti di cambiamento sociale o economico dell'ambito in cui operano gli enti costituenti, oppure può formarsi per iniziativa di un ente pubblico, comune regione, stato, che eroga specifici contributi o facilitazioni al fine di creare reti omogenee od eterogenee.
Ci occuperemo qui della prima tipologia, quella spontanea, che rappresenta la tipologia più dinamica e creativa.
La rete spontanea nasce per confrontarsi con la complessità delle trasformazioni economiche, sociali e territoriali presenti nel nostro tempo, che richiedono capacità di proposta, progetti e risorse che i singoli comuni o enti culturali spesso non sono in grado di garantire e che presuppongono un linguaggio comune e un'unità d’intenti da parte di più attori culturali. Questo genere di rete si diversifica a seconda delle tipologie e degli stimoli che la inducono a nascere, pur in molti casi accomunando più tipologie di mebri o di intenti. Queste tipologie tipiche vengono individuate analizzando le motivazioni e le modalità operative di ciascuna rete, e sono:

  • tipologie di reti
  • reti di obbiettivo
    Le reti di obbiettivo nascono intorno a necessità culturali spesso di origine economica, e sono finalizzate al raggiungimento di obbiettivi prefissati tramite la messa in comune di professionalità o risorse specifiche. Esse sono una delle forme più comuni, ed hanno spesso una durata limitata nel tempo ed una collaborazione ristretta all'ambito operativo. In ambito culturale sono di scarso interesse, non permettendo sempre di sviluppare politiche e progetti culturali di lungo termine ed ampio respiro. Peraltro, a volte esse rappresentano la fase iniziale di costituzione di associazioni o copeerative (abrogazione o approvazione di leggi specifiche, ottenimento di contributi o modifiche sociali, etc)

  • reti di contenuto
Le reti di contenuto, al contrario della precedente, nasccono dalla condivisione etica ed ideologica di modalità operative e di finalità, spesso di tipo sociale o culturale. Esse rappresentano la tipologia di rete più interessante e duratura, ponendosi come basi per percorsi culturali e sociali in evoluzione costante, e condividendo tra i membri buona parte delle risorse. Alle origini di queste reti si trovano praticamente sempre dei “manifesti” scritti o sottintesi, che danno unità e senso di appartenenza ai componenti delle stesse.

  • reti di funzionamento e di percorso
    Le reti di funzionamento e di percorso sono in qualche modo analoghe alle reti di obbiettivo, differenziandosi da queste per la maggior durata e integrazione dei membri. Le reti di funzionamento nascono per condividere strutture o opportunità, centralizzando determinati servizi, al fine di abbattere i costi e incrementare la capacità operativa.
    Le reti di percorso condividono un percorso storico, sociale o culturale e spesso nel lungo periodo si trasformano in reti di contenuto. Il networking relativo manifesta volentieri aspetti misti appartenenti ad altre tipologie e raggruppa enti dissimili e vari

  • reti territoriali
    Le reti territoriali sono fondalmente diverse dalle altre tipologie, basandosi principalmente sull'appartenenza ad un territorio, ed accomunando enti, istituzioni e persone diversi. Si sviluppano spesso su aree limitate per fare fronte ad esigenze, sviluppare progetti o condividere obbiettivi e risorse. Sono quasi sempre formate da un misto di persone fisiche, associazioni, cooperative, fondazioni e istituzioni varie, e fanno spesso capo ad un comune od a una provincia. Spesso formano reti di obbiettivo o di funzionamento, centralizzando alcuni servizi e demandando ad un membro o al capofila il reperimento di risorse. Sono finalizzate a fornire servizi agli abitanti del territorio o a sviluppare progetti culturali, turistici o sociali di tipo locale.

  • modalità di funzionamento
Le modalità di funzionamento delle reti variano profondamente, a seconda che esse siano indotte o spontanee, ed anche in funzione della loro estensione, omogeneità e dimensione.

  • reti nazionali
  • reti indotte
    Le reti indotte nascono quasi sempre per volontà di un ente pubblico (ministeri, regioni, province) ed i membri vengono selezionati tramite bandi, o tramite convocazione diretta. La rete fa capo dunque all'ente che la crea, e n e è dipendente per quanto riguarda fondi, e (quasi sempre) comunicazioni e visibilità. Essa è sempre quindi una rete a struttura piramidale, dove non vi è quasi contatto tra i membri, se non passando dal vertice (ente). La durata di queste reti è limitata alla volontà politica e alla disponibilità economica dell'ente promotore stesso.

  • reti spontanee
Le reti spontanee nascono sovente da incontri all'interno di festivals, convegni o incontri. Spesso non si ha una chiara percezione della nascita di questa tipologia di rete sino al momento in cui essa non viene formalizzata. La rete spontanea nasce a seguito della creazione di un manifesto ideologico, che spesso viene formalizzato e scritto solo tempo dopo, al momento di formalizzare e dare una struttura ed uno statuto alla rete stessa. Essa è quasi sempre di tipo orizzontale e ,a seconda delle dimensioni, prevede a volte un direttivo, o una tavola di rappresentanti, un direttore ed un presidente. È la tipologia che permette maggior durata, innovazione e capacità realizzativa a livello di progetti culturali, essendo generalmente una rete di contenuto. Inoltre può presentare grandi capacità di espansione verso membri che si riconoscono nel contenuto, nelle modalità e nel manifesto. Piccola o grande che sia, comporta il continuo incontro e confronto dei membri, che sviluppano al suo interno meccaniche costruttive e progettualità anche a lungo termine, approfondendo e sviluppando il sistema di condivisione di risorse e professionalità.

  • reti transnazionali ed Euro reti
    Come per le reti nazionali e territoriali, le reti transnazionali si dividono in varie tipologie. È però preponderante la presenza di reti di contenuto o comunque di struttura orizzontale. Le reti transnazionali spesso sono originatrici di progetti di ampio respiro, specialmente , ma non solo, in ambito europeo. Esse sono i maggiori fruitori delle risorse messe in campo dal Consiglio Europeo, specialmente (Euro reti) nell'ambito degli Interreg all'interno di euroregioni, ma anche dei Culture, Alcotrà e Gruntvig. Queste reti non si limitano però solo ai progetti finanziati, ma sono esse stesse finanziatrici e promotrici di progetti, programmi di formazione e di innovazione culturale. Esse sono i principali referenti in ambito europeo e mondiale per i governi nazionali e per i paesi extraeuropei, portando avanti un fruttuoso lavoro di collegamento tra realtà in evoluzione costante.



    3. Il “Manifesto”, strumento fondamentale di creazione di una rete culturale
Le reti di tipo orizzontale, così come quelle di tipo piramidale o verticale, si basano sui cosidetti “manifesti” culturali. Questi possono essere (e sono spesso ) di tipo ideologico, ossia basati non su obbiettivi comuni o su aspetti operativi, ma sulla condivisione di idee e principi. Il “manifesto” permette allo stesso tempo un allargamento della rete a nuovi membri che ne condividono il contenuto e una riconoscibilità da parte sia degli utenti finali che delle istituzioni. Esso rappresenta, in forma scritta, le motivazioni e le idee fondamentali condivise dal nucleo originatore della rete stessa, e né è allo stesso tempo motore, collante, attrattore e fine. Una rete che non condivide un manifesto comune difficilmente può essere considerata stabile, presentando un fenomeno di deriva e di progressivo smembramento. All'interno di una rete ristretta il “manifesto” può essere tranquillamente sottinteso e non esistere in forma scritta e codificata. Quando però vi è un allargamento della rete, il “manifesto” viene redatto e reso pubblico.

    4. La “Rete” come finestra sul mondo istituzionale
Fare rete è anche e sopratutto un modo per confrontarsi con il mondo istituzionale. Mentre piccole realtà difficilmente hanno accesso alle più elevate posizioni nell'amministrazione politica ed economica della cultura, e, anche avendolo (l'accesso) non riescono a dare un peso sufficiente alla propria voce, una rete culturale si interfaccia ad alti livelli sia nel mondo politico che nel mondo economico. Essa è vista come struttura altamente desiderabile, in quanto semplifica l'interfacciamento con le istituzioni, facendosi carico essa stessa del coordinamento di realtà diverse.
Inoltre presenta numeri, estensioni territoriali, budgets complessivi, capacità organizzativa ben al di sopra dei singoli eventi o realtà, ponendosi come referente qualificato per amministratori pubblici e responsabili di marketing.

  • Istituzioni
Verso le istituzioni, le reti si pongono come riferimenti di settori culturali o realtà territoriali, esercitando spesso attività di lobbying in favore dei valori sostenuti dal proprio “manifesto” e in favore dei propri membri. La possibilità di avere un referente unico anziche decine di realtà frammentate ed indipendenti viene fortemente apprezzata dagli enti politici, semplificando le loro attività e centralizzando le capacità decisionali. Le grandi reti transnazionali si pongono come referente privilegiato verso governi e Consiglio Europeo, partecipando attivamente ala progettazione di politiche culturali e gestione delle risorse. Le piccole e medie reti locali e le reti nazionali possono inoltre interfacciarsi tra loro diventando membri (sub-reti) di reti sovranazionali.
  • progetti europei
    Alla base di gran parte dei maggiori progetti europei (specialmente gli Interreg) troviamo Euro-Reti precostituite, che garantiscono l'innovazione dei progetti presentati e la loro continuità. I partenariati più proficui nascono da reti stabili, accomunate da uno o più “manifesti” e tendenzialmente omogenee per quanto riguarda scopi e contenuti, che sovente vantano collaborazioni e networking pregresso di tipo decennale. La coesione e condivisione di valori e risorse garantiscono


    1. 5. Case history: vedere presentazione PowerPoint
  • Cofae, la rete spagnola dei festival: coordinamento a livello nazionale
  • EFA, European Festivals Association: visibilità e rapporto con le istituzioni
  • IETM, international network for contemporary performing arts: la grande rete orizzontale che abbraccia il mondo intero
  • ZEPA, Zone Europeenne de Projects Artistiques: una rete ed un progetto interreg

Conclusioni
A fronte di un significativo decremento delle risorse per la cultura, comune in tutto il mondo (tranne i paesi asiatici, in special modo la Cina) e estremamente rilevante e dannoso per i paesi europei che più hanno investito in questo settore, il “fare rete” può essere visto, oltre che come iniziativa auspicabile e desiderabile, anche come salvagente culturale indispensabile per ridurre i danni al sistema culturale, permettendo di condividere filiere, strutture e professionalità e conferendo un valore aggiunto ai membri stessi.
Ecco i vantaggi di essere o fare rete:
Cultura e sviluppo locale, vantaggi oggettivi e miglioramenti relativi a:
  1. territorio
  2. sistemi
  3. distretti
  4. competitività
  5. qualità della vita
perché è necessario “fare squadra” superando la frammentazione:
  1. vantaggi economici nella gestione
  2. maggiore efficacia della comunicazione
  3. maggiore visibilità
  4. autorevolezza
  5. found raising
  6. governance a rete

presupposti per un progetto di sviluppo culturale:
  1. avere un progetto condiviso, collettivo e collaborativo
  2. avere un manifesto comune
  3. procedere in modo globale e integrato
  4. intessere relazioni nuove tra i gruppi
  5. ampliare la capacità progettuale e realizzativa

Per tutti questi motivi, fare rete diventà ora da virtù a necessità, strumento indispensabile per migliorare la sopravvivenza di operatori, eventi e programma cultural.


Bibliografia:

Raimund Minichbauer, Elke Mitterdorfer:
European Cultural Networks and Networking in Central and Eastern Europe
Translated by Steve Wilder , Wien: IG Kultur Österreich 2000

Progettazione e sviluppo delle aziende e reti culturali: principi, strumenti, esperienze
di Hinna Alessandro e Minuti Marcello, Hoepli 07/2009
Networking culture - The role of European cultural networks. by Gudrun Pehn, Council of Europe Publishing, Strasbourg, 1999

giovedì 2 dicembre 2010

Manifesto per l’Open Government

L’Open Government (letteralmente “Governo Aperto”) è innanzitutto una dottrina secondo  cui l’amministrazione nell'esercizio del potere esecutivo deve essere trasparente a tutti i livelli e consentire un controllo continuo del proprio operato mediante l’uso delle nuove tecnologie.
Il documento si basa su 10 principi:
1 – Governare con le persone attive
La partecipazione attiva è un diritto e un dovere di ogni cittadino. L’Open Government si propone di creare le condizioni organizzative, culturali e politiche affinché questo venga esercitato con pari opportunità per tutti.
2- Governare con la rete
La Pubblica Amministrazione deve far riferimento a un nuovo modello organizzativo federale che abbandoni la logica burocratica di gestione dei servizi pubblici  secondo paradigmi di  cessione di sovranità verticale  (nei due sensi: autocratrico, dall'alto verso il basso  e democratico dal basso verso l'alto) a favore di una logica orizzontale, in grado di coinvolgere i diversi attori pubblici, privati e del non profit, nel meritevole raggiungimento di un obiettivo comune e consapevole.
Tali azioni di governo possono essere perseguite attraverso un efficace uso della Rete.
3 – Creare un nuovo modello di trasparenza cross-mediale e multiculturale
L’Amministrazione pubblica deve agire in modo da garantire sempre la più completa trasparenza dell’attività di governo e la pubblicità di tutto ciò che è relativo al settore pubblico.
I cittadini devono poter accedere al controllo ed alla partecipazione dell’Amministrazione a prescindere dagli orientamenti ex art 2 della Costituzione.
4 – Trattare l’informazione come infrastruttura
I dati delle Pubbliche Amministrazioni devono essere accessibili a tutti sul Web in formato aperto, gratuitamente ove possibile, e – in ogni caso – con licenze idonee a consentire la più ampia e libera utilizzazione con garanzie finanziarie certe sia pubbliche che private.
La disponibilità di dati aperti è, di fatto, l’infrastruttura digitale sulla quale sviluppare l’economia immateriale. Le Pubbliche Amministrazioni, liberando i dati che gestiscono per conto di cittadini e imprese, possono favorire lo sviluppo di soluzioni partecipate e/o negoziate e contribuire in modo strategico, allo sviluppo economico dei beni dei servizi forniti.
5 – Liberare i dati pubblici per lo sviluppo economico del terzo millennio
Le Amministrazioni pubbliche riformate devono concentrarsi sulla produzione, riclassificazione e pubblicazione comparata di dati e informazioni grezzi e disaggregati, lasciando, salvo eccezioni espressamente previste dalla legge, all’iniziativa privata lo sviluppo di applicazioni ed interfacce per la loro rielaborazione, consultazione, condivisione  e fruizione.
Un orientamento della Pubblica Amministrazione verso l’Open Data offre nuove opportunità a chi investe nella Rete, incentivando la crescita di nuovi distretti dell’economia immateriale che possono rappresenterare un nuovo modello di produzione e quindi di calcolo ponderato del  PIL da affiancare a quello tradizionale oggi in crisi e, troppo spesso, sostenuto da aiuti di stato che bloccano la crescita ed ostacolano la concorrenza .
6 – Informare, coinvolgere, partecipare e valorizzare l’intelligenza collettiva
La rete moltiplica il potenziale delle intelligenze coinvolte e aumenta l’efficacia dell’azione amministrativa.
Le dinamiche organizzative ed i procedimenti della Pubblica Amministrazione vanno ripensati per  migliorare la qualità dei processi di informazione,  facilitare il coinvolgimento e la partecipazione di tutti i cittadini, diffondere la cultura dell’Open Governement anche attraverso i social media e le tecnologie dell’informazione e della comunicazione.
7 – Educare alla partecipazione
La partecipazione crea valore per il cittadino. L'utilizzo responsabile e solidale delle tecnologie dell'informazione, elimina ogni discriminazione culturale, sociale, economica, infrastrutturale o geografica ed educa alla partecipazione come diritto e dovere civico di ogni cittadino.
8 – Promuovere l’accesso alla Rete
La tecnologia, ed in particolare internet e gli strumenti di accesso alla Rete, sono elementi abilitanti ai processi di partecipazione. Per questo motivo è dovere dello Stato consentire a tutti i cittadini di accedervi e promuoverne la cultura d’utilizzo.
9 – Costruire la fiducia e aumentare la credibilità della PA
La conoscenza e la partecipazione ai processi decisionali sono strumenti di costruzione della fiducia e del consenso in un rapporto tra pari che coinvolge Amministrazione e Cittadini rendendo inutili gli attuali livelli di mediazione.
L’appartenenza agli stessi ecosistemi (digitali e non), la pratica delle stesse dinamiche sociali e servizi efficaci costruiti intorno al cittadino e alle sue esigenze aiutano ad accrescere la fiducia, la credibilità dell’Amministrazione e la condivisione degli obiettivi.
10 – Promuovere l’innovazione permanente nella pubblica amministrazione
La costruzione di servizi deve essere sempre realizzata in modalità condivisa e sviluppata, pensando l’utente al centro del sistema e mantenendo aperta la possibilità di far evolvere i sistemi.
Una innovazione permanente per garantire una revisione continua, nelle forme di utilizzo, negli adeguamenti tecnici, funzionali ed organizzativi sempre in linea con l’evoluzione dei paradigmi della Rete.

Valter Conti

economia di cittadinanza e diritti della persona

QUESTIONE POLITICA DI FONDO : COME REGOLARE IN MODO CREDIBILE IL DEBITO ESTERO (CANCELLAZIONE) DI ALCUNI PAESI (ECCETTO IL PROPRIO) PRESENTANDO LE CREDENZIALI ALL'ONU, OVVERO RIUSCENDO A REGOLARE IL PROPRIO DEBITO ESTERO NELLA POLITICA STRUTTURALE DI BILANCIO DI CONTROLLO DEL DEFICIT?
QUESTIONE STORICA FONDAMENTALE DI PROSPETTIVA: COME CONVERTIRE IL DEBITO INTERNO IN CREDITO PUBBLICO SENZA RITROVARSI A FARE I CAMERIERI DEI BANCHIERI (CLASSE POLITICA) E I SUDDITI (CITTADINI) DEI BANCHIERI?


Il valore del denaro immateriale  nell’economia di cittadinanza:ricerca degli equilibri attraverso il paradigma più Società più Mercato meno Stato


La prova più evidente di quanto i governi dei paesi cosiddetti liberal-democratici si trovino inpotenti di fronte al fatto che i debiti pubblici (sia interni che esteri) siano un parametro da controllare e una resposabilità da condividere con i cittadini nei confronti dei mercati e delle Banche centrali, è rappresentata dall’eccezione storica (che confermerebbe una regola fin qua sottaciuta) del governo USA.
Perchè un paese democratico ha potuto/dovuto permettersi di attaccare (sporcandosi le mani di sangue) paesi stranieri nel libero mercato globale della morte, mercato che avrebbe come causa “prima” il terrorismo o la droga, ed ha inevitabilmente dovuto giustificarsi dell’atto unilaterale connotando la strage di civili innocenti come “danno collaterale” frutto della propria azione?
La nuova dottrina dell’unilateralismo militarista  ed emerso poi anche coime unilaterialismo monetarista porta alla questione di che cosa giustifichi l’esercizio del potere in un mondo multilaterale in nome della democrazia.
Tale dottrina si misura con la questione unilateralismo/multilateralismo (piuttosto che la questione della costituzione europea) e tocca inevitabilmente il fondamenti religiosi delle società civili democratiche.
Veniamo alla religione. La preghiera del Padre Nostro recita (estratto):rimetti i nostri debiti i come noi li rimettiamo ai nostri debitori”.
Ma, se per la religione monoteista occidentale i nostri debiti alla morte come in vita possono essere devoluti ad una immanenza astratta o superiore alla persona, all’individuo, non si capisce la ragione, umana, divina, politica o quant’altro per la quale si debba ritenere opportuno, accettabile o auspicabile che i debiti (economici, civili, morali, religiosi in ultima istanza “di vita”) debbano o possano essere presenti o presentati unilateralmente come opportunamente ascrivibili ad un essere umano al momento della sua nascita, o peggio ancora prima di questa (si veda la questione dei diritti del nascituro??) partendo da un parametro macroeconomico come il debito .
Forse lo spirito “laico” che può derivare da questo interrogativo sembra distaccarsi dallo spirito antireligioso solo perchè disposto a spostare la funzione del Creditore Maximo a monte del ciclo dell’esistenza umana dei singoli in vece che a valle dei cicli economici?
Chi sono i creditori che detengono (non il servizio non-religioso e quantanche economico) ma il “conto” del debito interno di un paese?
La Banca Centrale ha il potere di determinare la politica monetaria ed è depositaria dell’autorità legale (e quindi del potere istituzionale) di espandere o contrarre la massa monetaria in circolazione ma non è detentrice e responsabile “unica” del conto del debito quanto piuttosto della politica monetaria indipendente rispetto ai mercati, ai singoli ed agli stati. Il sistema SEBC europeo tenta di modulare e spalmare (attraverso una sorta di federalismo storico di sovranità monetaria) questi diversi livelli di responsabilità e di controllo di determinazione del “conto” del debito, su una serie di soggetti indipendenti (vedi in Italia Bankitalia Antitrust e Consob) esponendo i singoli paesi (nel caso dell'inefficienza dell'azione di tali attori regolatori) alla speculazione finaziaria "cieca". Risultato pratico apparentemente immutabile: gli Stati tendono a fare i conti in tasca ai cittadini ed i, mercati finanziari tendono a fare i conti in tasca agli Stati (ed anche alle unioni di Stati sia al di là che al di quà dell’Atlantico) .
Come fare a interrompere questo infernale circuito di sovrapposizione e di perversione tra potere amministrativo-legislativo e potere esecutivo-monetario, di ingerenze coni “ignoranze” dove, nel non capire chi controlla cosa, chi e per che cosa o per conto di chi, gli unici “indipendenti” e liberal-liberisti senza controlli risultano inevitabilmente i banchieri (o alcuni di essi) e magari anche contro la loro stessa coscienza civile e i controllati risultano inevitabilmente gli operatori di frontiera come gli edge funds on speculatori consolidati che trattano  CDS e derivati troppo spesso contro la loro propria e semplice libera volontà di persone?
Poniamo quindi che l’unità di conto fondamentale del debito (utile a determinare il calcolo del debito  pubblico complessivo  aggregato  interno di un paese) possa essere la persona, non in quanto debitore predeterminato, quanto piuttosto cittadino responsabile che volontariamente aderisce ad un sistema di conto scientifico dell’economia di cittadinanza: il servizio del credito pubblico equamente (o meglio per ora in prospettiva si spera democraticamente) condiviso tra banche, stato e cittadini nella loro rispettiva autonomia “pubblica” e (per quanto riguarda i cittadini e le banche) privata.
Esaminando questa prospettiva non posso non sottolineare un pericolo utopistico-legalitario del concetto di “antropocrazia”.
Una società antropocratica basata sull’unità di conto-persona del credito pubblico, come potrà considerare i valori non monetari scaturenti dal rapporto con l’ambiente (ovvero con il resto del vivente compreso il pianeta) proveneniendo solamente dalla esperienza di modelli democratici distorti dalla indecidibilità della proprietà della moneta nell’ambito multilateralistico-antropocratico delle monete per i popoli (pseudodemocraticamente eletti a sistemi unilaterali ed impositivi di valore monetario locale)?
Non si rischia così di spingere la necessità di una nuova moneta “fisica” mondiale e quindi di favorire ancora ulteriormente le rendite di posizione dei banchieri? Tra i due litiganti: lo stato ed il cittadino, il terzo escluso il banchiere (eccetto quello nominato alla banca centrale) ci gode?
La grossa distorsione storica in cui ancora viviamo è data dal fatto che i modelli democratici statuali si sono sviluppati in un regime di non libera determinazione democratico-antropocratica dell’informazione (unità-conto-persona ridotta alla detrerminazione bancocentrica e anti-democratica del debito).
Insomma il Demos come debito-persona e l’Antro Oscuro della Sibilla-Banca con la Sfinge Centrale-Rischi come tormento infinito dei peccatori predeterminati senza Dio o valore personale.
Questa è la situazione attuale:allo stesso modo in cui i cittadini possono ignorare gli errori commessi dallo Stato, così lo Stato può ignorare l’azione della banca centrale nazionale o sovranazionale. Ci sono poche istituzioni in una nazione più influenti di una banca centrale o di un organismo di controllo indipendente di derivazione cultural-bancocentrica anche a partire dai mezzi di scambio come la moneta, e niente di più importante e vitale risulta per un popolo che la necessità di una economia sociale di crescita che realizzi scopi di solidarietà sociale tra generazioni, cittadini, imprese e istituzioni . Cos’altro permette al governo di accumulare debiti enormi che a loro volta rendono impossibile la solidarietà tra generazioni e comunque l’espansione del debito estero e quindi impossibile la solidarietà tra cittadini ed imprese? Quale altra variabile economica ha effetti causali maggiori sulla vita e sulle attività culturali ed economiche dei singoli, in ultima analisi sui limiti reali delle loro libertà come persone?
Naturalmente è comprensibile perché la gente e la quasi totalità dei politici lasci tutte queste questioni nelle mani di un futuro incerto, traducibile solamente in astratti principi (la politica) e soprattutto in numeri ed algoritmi unilateralmente accertabili (l’economia monetaria).
La politica monetaria difficilmente può risultare un tema caldo ed efficace di discussione mediatica e pubblica: meglio concentrarsi sui possibili equilibri tra economia di cittadinanza (autodeterminazione delle persone) ed economia capitalistica regolamentata (autodeterminazione dei mercati).
La sfida la fornisce il terrorismo che, negando l’audodeterminazione della persona (di poter “essere” in vita), nega a se stesso la libertà di autodeterminare il mercato dell’informazione-vita negando quindi la vita stessa anche e solo come rappresentazione mediatica di negoziazione astratta tra vita e morte.

Il valore del denaro nell’economia di cittadinanza e nuovi scenari per la Società della Conoscenza
Una sana economia che si basi sulla cittadinanza, una cittadinanza dove debiti e crediti siano riconducibili alle istituzioni storiche (gli stati) ed alle istituzioni individuali (le persone) senza che tutto implichi il ritorno ad una economia del baratto di vita con le banche (oil for food) e/o con i terroristi (democracy for freedom), implica la determinazione dell’unità di conto denaro-persona.
In una economia di cittadinanza libera a riserva-persona (non alternativa ma complementare “materialmente” alla riserva immateriale denaro), alla crescita della produttività corrisponde un blocco dei prezzi ed un aumento dei beni e dei servizi circolanti in quella stessa nuova economia.
Normalmente, la gente discute l’interesse in relazione al denaro, si dice che l’interesse rappresenta il prezzo del denaro inteso come bene futuro.Tuttavia, questa nozione esprime solamente il grado del signoraggio bancario sulla attività di scambio; l’interesse rappresenta sul piano capitalistico lo sconto applicato ad ogni flusso di benefici futuri o, come dicono gli economisti, flusso di redditi futuri. Nell’economia di cittadinanza l’interesse non può che passare dalla presa d’atto per adesione volontaria al diritto stesso di cittadinanza in qualche modo (tutto da sviluppare) co-gestito ed esigibile dalla persona stessa.
Se vogliamo rendere libera la persona umana di poter scegliere su diversi tassi di sconto relativamente al presente, al futuro ad al passato (per quanto riguarda i debiti) dobbiamo costruire due percorsi complementari, due economie: una capitalistica ed una di cittadinanza alle quali i cittadini possono accedere secondo le proprie necessità (contribuire al welfare e/o sviluppare il workfare) e considerare l’insieme delle due economie in relazione alla libertà delle persone (economia non monetaria) ed ai doveri (non i debiti) delle persone (economia monetaria)
Persone distinte applicano tassi di sconto differenti ai flussi di reddito nonchè ai debiti contratti. Alcuni in certi momenti della propria esistenza sono orientati più intensamente al presente, desiderano godere dei beni immediatamente, non gradiscono attendere altri debiti da pagare e vivono l’incertezza o la difficoltà di essere/non essere imprenditori e quindi di non poter pianficare i propri investimenti/oneri se non a tasso costante dei costi del servizio del debito. Spesso la scelta non si riesce a compiere e si resta in una ambivalenza indecidibile di pseudo-disoccupazione forzata : lavoro dipendente a tempo determinato o lavoro indipendente a tempo indeterminato?.
E’ bene quindi introdurre un concetto di credito pubblico che storicamente è definito come credito sociale che non neghi l’affermazione del valore del denaro come unità di conto predeterminabile alla persona-cittadino (e non il suo reddito di persona-contribuente). Se in capo ad una persona è ascrivibile un debito cartolarizzabile, il servizio di quel debito non può essere sottratto tout court alla persona e delegato ad un ente privatistico di servizio (vedi le concessionarie di recupero crediti pubblici) perché a quel punto, un servizio di cittadinanza non pubblico (che nella sua tipicità è caratteristica del privato sociale: vedi terzo settore) diventa un servizio privatizzato che Istituisce di fatto ma non di diritto il servizio stesso a partire esclusivamente e unilateralmente dagli interessi del debitore (non più la banca ma in questo caso la P.A.). Addirittura una nuova forma di “signoraggio” nichilista sul minus-valore della persona ridotta ad rischio monetario  (il default delle persone), Persona che si vede privata dell’opportunità di poter rischiare un capitale finanziario attraverso un progetto autoimprenditoriale e si trova ridotta a mera risultanza contabile per la determinazione della capitalizzazione di rischio del recupero crediti a rischio di inesigibilità del denaro-persona cartolarizzato: ecco la Voragine del leviatano che si scarica sulla persona-cittadino e lo spinge al suicidio di identità fisiche, spirituali, culturale civili eccc..

Riprenderemo ora il paradigma più Società più Mercato meno Stato ricercando un possibile modello sostenibile di sviluppo della Società della Conoscenza.
Nella Società della Conoscenza, l’attività stessa del “conoscere” può rappresentare:
-punto di presenza del servizio informativo (cittadino-persona-utene)
-risorsa di consumo del servizio fornito da terzi (attività imprenditoriale-cliente)
-creazione di informazione-valore attraverso la deteminazione del servizio (libertà di accreditamento e responsabilità autonoma di gestione ma non di controllo dei singoli cittadini)
Quindi parallelamente, abbiamo al posto della Centrale Rischi, l’Internet Provider, al posto della Banca (io direi a questo punto anche al fianco di essa!!) l’unità conto-persona ed al posto del Debito monetario pre-determinato ex ante, il Credito monetario assegnabile ex-post (ma esigibile secondo modelli interattivi virtuali tutti da studiare spero non solo in sede di politica ufficiale mna soprattutto grazie alla sperimentazione in rete)
Insomma è assolutamente fondamentale poter “convertire” il debito in credito coinvolgendo le persone che volontariamente vogliano partecipare alla costruzione sostenibile della “Società della Conoscenza”.
Se si fallisce, la questione della “cancellazione” del debito estero dei paesi sottosviluppati si incaglierà nell’impossibilità di assicurare i diritti di cittadinanza ai debitori in vita nel cosidetto mondo civile e democratico avanzato.
Valter Conti

martedì 30 novembre 2010

Nuovi modelli di rete per utenti e clienti

Quando si affronta un strategia sociale  di CRM  (responsabilizzazione condivisa della clientela) tradizionali, le aziende sperimentano contemporaneamente sia sfide di business che di tecnologia.


Oggi assistiamo a sfide di business ancora maggiori:
• Essere governati dal da un team consolidato che non ha il tempo adattarsi al
le nuove modalità che i clienti e gli utenti realizzano nella loro comunicazione di rete
• Mettere la tecnologia prima della strategia e, quindi per colpa del pensiero speculativo, non riconoscere  risultati che si desiderano o si attendono: infatti ciò è più materia di competenza dei clienti e degli utenti.
• Incertezza su come trasformare la cultura esistente con una che comprenda apertura, trasparenza e impegno. Le imprese sono messe di fronte al fatto che un effettivo processo di governance e di cambiamento  non può prescindere da un serio coinvolgimento delle organizzazioni sociali tradizionali come i sindacati ed i partiti politici che sono, anche essi delle reti socialiSenza questo coinvolgimento  ci si trova a pretendere risultati immediati contro ogni realtà.
• demotivante e perenne sviluppo e adattamento a quei programmi di tutela legale che siano in contatto operativo con il cliente allo scopo  realizzare il benessere dell'utente
• cercare di rispondere alle interazioni di rete quanto più possibile, senza risolvere o cambiare le decisioni dove e come servono.
• competizione serrata per lo sviluppo di programmi di difesa efficace che tutelino i diritti d'autore e di seguito riconoscendo al contempo il ruolo sociale fondamentale del marchio globale comunitario Creative  Commons 

Utenti e clienti sociali sono più informati, autonomi e in connnessione che mai. 
Prima di effettuare qualsiasi tipo di affiliazione per l'acquisto o la valutazione di decisioni, utenti e clienti si rivolgono ai mercatii e all'industria non tradizionali  attraverso le piattaforme di reti sociali sostenibili già esistenti.
Per riuscire in questo ambiente iper-connesso, le aziende dovranno adattare la loro strategia di business, applicare le nuove tecnologie, espandere la loro commercializzazione, gli sforzi di PR, e modificare e adattare la loro cultura interna con liberi codici etici
Formalizzare un sistema integrato di CRM  e URM sociale rappresenta una strategia che consentirà al business
 di individuare, educare e coinvolgere i propri clienti attuali e potenziali per dove e come questi vogliono comunicare.
Il rafforzamento della leadership del Cliente sociale  è un obiettivo fondamentale all'interno di una qualsiasi strategia di business sociale.


Valter Conti